Daniele: Bentornati all’immancabile appuntamento del lunedì, ovvero l’intervista più fuori luogo dell’intero panorama. Anche perché chi metterebbe mai un’intervista in mezzo a un panorama? Ma andiamo a cominciare e a presentare l’ospite di oggi. Abbiamo con noi, la Signora delle Mosche, la divoratrice di Troni di Spade, la Sterminatrice di Cyberbulli… ecco a voi Barbara Parodi!!!

Daniele: Benvenuta Barbara (Vinohhh?) in questo antro di disperazione e fiorellini fatati. Pronta ad affrontare il dolore psicofisico di questa intervista? Cominciamo subito dal tuo bellissimo romanzo Segui le Mosche e proviamo a seguire le mosche come fossero bricioline di pane. Innanzitutto, cosa ti ha spinta a scegliere questo simpatico animaletto?

Barbara: Ma ciao! Grazie per questa ospitata nell’antro di fiorellini fatati e disperazione (lasciami dire un connubio che è la morte sua, un po’ come il limone sulle cozze). Perché le mosche mi chiedi. Dunque, a parte il fatto che Segui i gattini non credo avrebbe avuto lo stesso impatto emotivo, sebbene io adori i gattini e seguirli, le mosche da sempre vengono associate a morte e putrefazione. Ciò che viene trovato seguendo questi insetti fastidiosi è proprio questo: morte. È nato alla fine del romanzo, tratto da una frase dei protagonisti. Quando l’ho scritta ho pensato “Ecco, è lui”. Il resto è storia. Comunque, se a qualcuno garbasse di più seguire i gattini può mettere un bel post it sulla copertina e correggere il titolo.

D: All’interno del romanzo si respira un’aria di costante attesa del pericolo, mentre l’indagine prosegue in un climax asfissiante. Il tutto con uno strano istituto come sfondo. Perché ambientare una storia a cavallo di un edificio?

B: In un certo senso è stato un richiamo voluto a uno dei luoghi più cliché che esistano dopo il cimitero e la casa infestata. Un po’ perché mi ha ricordato quando da adolescente ho fatto la stessa cavolata dei ragazzi nella storia, cioè sono entrata di notte in un ex manicomio e non è stato divertentissimo; un po’ perché associare l’horror alla pazzia mi piace. Stesso richiamo anche nel cognome di Sophy: Ward che in inglese significa proprio reparto.

D: Anche i drammi psicologici, la costante tensione e il crescente mistero sono elementi fondamentali del romanzo. Come mai, secondo te, la psiche spaventa tanto i lettori? Ma soprattutto, quanto è davvero spaventosa la tua mente?

B: Credo che la psiche spaventi come tutti i grandi misteri. La capacità della mente di deviare dal percorso è qualcosa che spaventa, così come la capacità di creare immagini e suoni inesistenti. Il potere suggestivo è quanto di più terrificante vi sia.
La mia mente è innocente e pura come Gizmo (Gremiln) il problema subentra quando mangio dopo la mezzanotte o vengo bagnata. Deheheiho.

D: Vorrei parlare un attimo con te dell’horror in generale e di un’idea che mi ha riportato in auge il titolo del tuo romanzo. Perché secondo te la gente è così spaventata dagli zombie (facilissimi da individuare e schivare con la loro puzza di gorgonzola andato a male) e molto meno dall’idea di un piccolo insetto, così comune da essere ovunque e perfettamente in grado di trasmettere una malattia letale?

B: Eh, ottima domanda. Tra l’altro lo zombie lo detesto proprio. Credo sia il fatto che è una cosa che dovrebbe essere morta e non lo è, che sovverte le leggi naturali. Fa proprio schifo come concetto, ecco. Per gli insetti: detesto le mosche almeno quanto gli zombie, ma grazie a Dio (o ai fratelli Winchester… so che esistete davvero, trottolini amorosi di zia) gli zombie non gli ho mai incontrati. Fra tutte le creature horror i morti che camminano fanno proprio senso. E puzzano, cosa che si potrebbe dire anche del licantropo, ma solo se piglia la pioggia e solo per pochi giorni al mese.

D: Una delle cose che emerge, passando del tempo con te in fiera, il tuo spiccato amore per la musica. Quanto questo influenza la tua scrittura? Ma soprattutto, esiste davvero un horror più terrificante della musica latino-americana?

B: Ahahahahaha. Sono morta!
La musica è una parte importante della mia giornata. La amo. Scandisce il tempo, lo stato d’animo e mi piace ascoltarla perdendo un po’ di contatto con la vita vera. Molte scene mi vengono in mente ascoltando le canzoni e soprattutto il carattere dei personaggi. Per farti un paio di esempi, ascoltando Immigrant Song ho costruito il detective Paul Stein e usando Where is my mind ho scritto alcune scene di Sophy.
Ascolto di tutto, dal jazz al rock passando per la classica, ma come mi innervosisce la musica latino americana credo che solo poche cose nella vita lo fanno. Se la gioca con … Nah, non c’è nulla di peggio che ascoltare “sintura” e “cabesa” in loop.

D: Parliamo un po’ di attualità e infiliamo una rockettara in una polveriera, sperando non faccia come Axl Rose. Credi che le ingerenze delle religioni nella gestione di uno stato abbiano ancora peso in epoca moderna? Mi riferisco soprattutto al mondo occidentale dove, in apparenza, le ideologie tradizionali sembrano scontrarsi con una nuova cultura molto più inclusiva e liberale.

B: Vorrei poterti dire di no, che la religione non ha più un ruolo politico come accadeva con Innocenzo III, ma direi una gran balla. La religione non solo influenza l’elettorato, ma anche la condotta di uno stato.  Il grande problema è che ciò che viene promulgato dalla religione, accanto a messaggi anche positivi, è una disuguaglianza prepotente e un senso di superiorità di alcuni rispetto ad altri che non ha pari. I messaggi si nascondono dietro un grande e ipocrita “volemose bene” che fa proprio schifo.

D: A tal proposito uno dei temi scottanti è l’amor che a nullo amato amar perdona. Credi che sia possibile inserire una storia d’amore importante in un romanzo horror? E non mi riferisco ovviamente della classica coppietta dei film di serie Z in cui, rigorosamente dopo il nero, uno dei due muore e l’altro sopravvive giusto per mettersi con l’amore storico un po’ cafone, ma spesso iper-gnocco.

B: Sì, credo possa starci. L’horror di fatto è un genere che porta alla luce il lato oscuro della vita e della psiche attraverso una metafora o elementi di fantasia. La paura e l’amore sono due delle emozioni più forti che si possano provare, quindi perché non inserirle entrambe? Il vero problema è che sono del tutto incapace di parlar d’amore, quindi attraverso la mia penna verrebbe fuori una cosa piuttosto raccapricciante, del tipo “Ti amo”, “Bella, anch’io”. Fine della storia.

D: E l’erotismo? Dove, secondo te, il rapporto tra erotismo e morte perde l’intrigante sensualità stile BDSM che accompagna molte creature soprannaturali ed entra nella follia dei serial killer?

B: Suppongo che il limite sia sempre il consenso. Qualunque iniziativa senza il consenso è violenza e quindi oltrepassa il confine fra uno e l’altro. Esiste un filone di horror legato all’erotismo che personalmente non apprezzo, ma è un limite mio. Fino ad arrivare a una estremizzazione della cosa con Barker e i suoi Cenobiti. Erotismo e dolore hanno da sempre convissuto per molti. Io sono terrorizzata dal dolore quindi lo “famo strano” è piuttosto limitato nella mia vita.

D: Passiamo un po’ all’alta letteratura. No, non parleremo della biografia di un giocatore di basket, ma di quei romanzi che ti hanno fatta emozionare. In tutta la tua vita, qual è il libro che ti ha messo più paura? E più inquietudine?

B: Uh, difficile. Quello che mi ha messo più paura è sicuramente I vangeli di sangue proprio per quello che dicevo sul dolore fisico. Quello che mi ha inquietata di più… Sono due in realtà: IT di King e Delitto e castigo di Dostoevskij. Entrambi mi hanno angosciata e inquietata proprio per la loro capacità di far emergere il lato interiore della psiche.

D: Parlaci un po’ di te. Sappiamo che hai un rapporto molto particolare con un fenomeno spaziotemporale accomunabile ai buchi neri. Ti va di parlarcene?

B: Eh, guarda, sto cercando di uscirne e sono piuttosto in imbarazzo a parlarne. Confido che ce la farò a convivere con l’idea che esistono i buchi neri. Cioè è proprio il concetto che di per sé è orripilante. Buco. Nero.
Buco.
Nero.
Bu… okay, la smetto.

D: Ultimissima domanda. Meglio un piatto di pasta oggi o un pugno di mosche tra una ventina d’anni quando dopo una guerra termonucleare non ci sarà rimasto nulla da mangiare?

B: Bah, col chiulo che ho mica sopravvivo abbastanza a lungo in una guerra termonucleare, quindi vado di pasta oggi.

D: Anche io temo che troverei la mia fine nel primo lancio di missili. Cioè, stiamo in pianura padana, senza un alito di vento manco a pagarlo oro. Qui persino le radiazioni stagnerebbero fino a diventare una nebbia verde fluo.
Rivolgiamo un enorme ringraziamento a Barbara che ci ha tenuto compagnia. Grazie anche a voi che avete scelto di leggere i nostri sproloqui e siete sopravvissuti per raccontarlo. Un abbraccio. Ci sentiamo lunedì prossimo.

Daniele Viaroli