Daniele: Bentornati fedeli ascoltatori alla nuovissima puntata delle interviste Scemiserie. Come state? Pronti ad affrontare la calura e i temporali che in questi giorni spazzano l’Italia? Quest’oggi abbiamo con noi un’ospite d’eccellenza, una donna vulcanica e incontenibile che saprà sconvolgervi molto più dell’estate. Facciamo un bell’applauso per Marialuisa Gingilli.

Daniele: Buongiorno e benvenuta a Marialuisa, nostra ospite di oggi e responsabile delle sventure della popolazione di mezza Irlanda, con tanto di Modena City Ramblers come colonna sonora. Proprio a tal proposito, vorrei parlare con lei del suo primo romanzo con la Dark Zone “Solo per me” primo volume della serie “Under the Irish Sky”. Come mai questa passione per l’Irlanda e il desiderio di ambientare laggiù la tua saga?

Marialuisa: Buongiorno, Viaroli, e grazie per questa chiacchierata. Forse. Ho come l’impressione che alla fine me ne pentirò.
Partiamo da come è nata l’idea di ambientarlo lì: è colpa della Pratelli. È sempre colpa della Pratelli.
«Che ne dite di postare sul gruppo un raccontino che abbia come tema il ‘viaggio’?»
E per me è stato automatico pensare all’Irlanda e a quel viaggio fatto a vent’anni con il mio fidanzatino dell’epoca.
Un autostop, le mie lacrime (perché mamma fin da piccola mi aveva spiegato che «Certe cose non si fanno») e la paura di ritrovarmi agonizzante in un campo alle prese con un serial killer (perché le raccomandazioni di mia mamma finivano sempre con scenari simili). Ecco che ho così iniziato a parlare di questi due ragazzi, Margherita e Alessandro, e della loro avventura in questa terra meravigliosa.
L’amore per l’Irlanda è sempre stato lì nel mio cuore, invece, dalla prima volta che sono atterrata a Dublino.

D: Leggendo ho trovato un bellissimo riferimento al concetto secondo cui si può correre lontano, ma non si può scappare dal proprio passato. Secondo te è dovuto al fatto che il passato è inchiodato alla nostra ombra oppure perché volenti o nolenti fa parte di noi?

R: Credo che, volenti o nolenti, siamo noi a essere inchiodati al passato.
Il che non vuol dire che sia sempre negativo. Si può esserlo anche in funzione di un ricordo piacevole, di una sensazione, un profumo. Il problema è quando cerchiamo semplicemente di “dimenticarci di esso”. Di nascondere la testa sotto la sabbia quando fa capolino con qualcosa di spiacevole tra le mani.
Sono convinta che certe situazioni, se non risolte, siano destinate a ripresentarsi, nella stessa o diversa forma, fin quando non le prendiamo di petto, le affrontiamo e in qualche modo le risolviamo. Del resto è l’unico modo per risolvere, in un certo senso, noi stessi.
Poi qui potrei parlarti del ‘trasformare’ le energie che ci circondano, di reincarnazione e vite passate… ma magari lo facciamo alla prima fiera insieme.

D: Spostandoci più sul generale, mi sono sempre chiesto perché in molti romance si viene spesso a creare uno scontro tra la voglia selvaggia di libertà dell’individuo con le responsabilità di una relazione amorosa. Vengono davvero percepite come due cose così inconciliabili?

R: Oh, questo dovreste spiegarcelo voi uomini. Sai quanti ragazzi ho conosciuto (e non solo legati a me) che scappavano quando dall’altra parte si rendevano conto di avere a che fare con qualcosa di più di un semplice intrallazzo? Per non parlare del fenomeno del ‘Ghosting’, sempre più frequente, soprattutto da quando la tecnologia ha cambiato la nostra vita. Quando la cosa non ci aggrada più, semplicemente spariamo, come se non si ritenesse sacrosanto spiegare all’altra persona cosa non va. Qual è il limite contro cui ci siamo fermati.
Nei miei romanzi, però, non sono solo i maschietti a vivere questo disagio, perché ammettiamolo, anche noi donne spesso e volentieri sappiamo essere stronze. Io penso che la cosa che faccia più paura sia mettersi in gioco con un’altra persona. Gettare a terra la maschera che ci siamo costruiti, l’etichetta che ci hanno affibbiato, e mostrarci per come siamo. E sai perché? Perché spesso non lo sappiamo neanche noi, come siamo fatti. E quando con il partner il rapporto si fa più profondo, ecco che tutto di noi emerge: pregi e difetti, manie, psicosi… E non è sempre detto che ci piaccia ciò che vediamo. Ecco, quindi, che è più facile nascondersi dietro al «Voglio la mia libertà» piuttosto che ammettere la paura di volersi mettere in gioco. Questo, del resto, è spesso alla base del fenomeno del ghosting di cui ti parlavo prima.

D: Un altro tema che ho sempre apprezzato nei romance è lo spaccato della società che ne emerge. Non importa se si sta parlando dei quartieri disagiati della periferia o dell’alta società, in un modo o nell’altro vengono spesso evidenziati gli aspetti ipocriti del mondo che ci circonda, anche solo nell’ottica di ostacolare i protagonisti. Credi che sia vero?

R: Partiamo dal presupposto che molto viene anche un po’ “caricato” per fini di trama. Fin dal passato le storie che hanno appassionato di più sono quelle tribolate: da Romeo e Giulietta, dove l’ostacolo è l’odio tra le loro famiglie, all’Otello, in cui entra in scena qualcosa di più subdolo e meschino – il tarlo della gelosia che fotte il cervello del protagonista – fino ai giorni nostri, ad esempio, con Pretty Woman, dove è la differenza sociale a creare il contrasto tra gli attori principali.
Il messaggio finale, però, è sempre lo stesso: è l’amore a muovere il mondo. E che sia tragico, o con il lieto fine, croce o delizia, è capace di superare gli ostacoli o comunque di elevarsi sopra ogni cosa, per cui va bene anche morire se si è vissuto un sentimento così totalizzante. Credo che, in qualche modo, sia consolatorio. Ci fa credere che, nonostante tutte le difficoltà della vita, riusciremo a trovare il nostro angolo di mondo e sentirci a casa. Magari nell’ultimo posto in cui lo avremmo cercato, con la persona più improbabile, e contro tutto quello che la gente può dire o pensare.

D: A tal proposito vorrei parlare un po’ di attualità. Dopo i plateali atti di protesta in nome di un amore libero e senza confini di genere sessuali avvenuti nel mondo della musica e dello sport (ci sono stati episodi persino nel mondo del calcio, da sempre estremamente chiuso a queste cose), pensi che possa cambiare qualcosa? Arriveremo un giorno a poterci finalmente amare senza che qualcuno, dalla pettegola di paese ai capi di un culto religioso, possa metterci becco?

R: Oddio, Viaro’… Sarebbe meraviglioso. Ho una bambina di sei anni (li farà il prossimo mese) e sto cercando, ovviamente con gli opportuni filtri, di non nasconderle nulla, di non indorare troppo la pillola. Per cui, ad esempio, a cena si guarda il TG insieme. E fa domande. Ne fa tante. E io, per quello che posso, cerco di spiegarle il mondo. A volte ti sorprende con l’ingenuità dei suoi anni e in merito a questa questione, quando le ho chiesto se pensasse che fosse strano che un uomo potesse stare con un altro uomo o una donna con un’altra donna, mi ha risposto: «Un po’ mi fa ridere, è strano… Ma si amano e questa è la cosa più importante».
Ecco, per quanto fossimo orgogliosi della nostra bimba, io e mio marito ci siamo soffermati su quel «È strano». Perché, per quanto in casa nostra sia una questione così normale da non dover neanche essere discussa o analizzata, gli stereotipi di questa nostra società sono comunque riusciti a insinuare in nostra figlia il concetto di “stranezza”. C’è ancora tanto su cui lavorare e deve partire da noi genitori, dalle scuole, ma non solo nell’affermare il sacrosanto diritto di amare chi vogliamo. Dobbiamo partire dalle basi, dalla distruzione degli stereotipi che hanno condizionato finora la nostra vita.
A tal proposito, per chi ha dei bambini – ma non solo – consiglio “Viola e il blu” di Matteo Bussola; un libro meraviglioso che ci mostra come si possa essere davvero liberi. Quindi, tornando alla domanda di partenza: sarebbe bello, meraviglioso, credere che arriveremo a quel giorno, Daniele. Ho dei dubbi, dei grandissimi dubbi, purtroppo, ma essendo mamma DEVO credere che avverrà e lottare, nel mio piccolo, affinché accada.
Per quanto riguarda il condizionamento religioso, anche quella è una battaglia che dobbiamo cominciare a intraprendere seriamente: sono credente, ma credo fortissimamente anche nella laicità del mio Paese. Il Dio in cui credo se ne frega della persona che mi porto nel letto, non sta a controllare la cronologia del mio PC, né a sindacare su cosa mi piace o meno. Ma, soprattutto, è il Dio in cui credo io e non sta scritto da nessuna parte che debba, per bocca di qualcuno i cui interessi sono tutt’altro che la mia ‘felicità’, sindacare sulla vita di chi non se lo fila.

D: Nonostante dopo questa uscita, oltre a essere molto d’accordo con te, sia interessato alla cronologia del PC, cercherò d’ignorare la questione. Questa è una domanda che mi piace fare a chiunque scriva romance. Ho visto che è un genere che causa spaccature nette del pubblico. Da un lato c’è chi lo osanna con gli occhi a cuoricino stile cartone animato giapponese e dall’altro c’è uno snobismo feroce da uomo villoso che non deve chiedere mai. Credi che questa spaccatura sia giustificata?

R: Partendo dal presupposto che ho iniziato presto a farmi scivolare certe cose di dosso… No, vabbè, non è vero. Voglio essere sincera con te: me le lascio scivolare di dosso il settanta/ottanta per cento delle volte, ma se mi becchi in una giornata in cui mi girano come le pale eoliche con la bora, sono capace di saltarti al collo.
C’è tanto, tantissimo snobismo quando si parla di romance.
La domanda più frequente che mi viene fatta è: «Ah, scrivi roba tipo gli Harmony…» con faccia carica di disgusto. Poi gli chiedi se hanno mai letto un Harmony e ti dicono di no. Un romance puro? Uno sport romance? Un dark? Vabbè, una commedia romantica, di quelle leggere… «No, no, no!» (Sia mai, te pijasse ʼn corpo!) Però affollano i cinema, con gli occhi a cuoricino, al primo film tratto da uno di questi romanzi da «Casalinghe frustrate che scopano poco. O sicuramente lo fanno male» solo perché gliel’ha consigliato l’amica o l’hanno visto pubblicizzato da Barbara D’Urso. Però non lo dicono. Non sia mai che qualcuno gli sfili la scopa dal di dietro e le accomuni a quelle casalinghe di cui sopra.
Il romance non è solo “Lui, lei, l’altro e l’amore che sboccia” o “Manuale di tutte le posizioni nella stanza rossa di Christian Grey”. È come dire che nel fantasy si parla solo di mostri che vengono da un’altra galassia, bruchi parlanti e eroi dal mantello rosso. Nel romance si parla di sentimenti, quelli che spiazzano e fanno paura, ma si parla anche di bullismo, di alcolismo, di perdita. Si affrontano l’autolesionismo, la bulimia, i mostri che in tanti teniamo a bada, a fatica, dentro di noi. E basta fare un giro tra quelli della collana rosa della DZ per capirlo.

D: Parliamo ancora un poco d’amore. Spesso nei romanzi viene rappresentato in maniera idilliaca come qualcosa fatto di appuntamenti in luoghi da sogno, un filo di vino per dare alla testa quanto basta e baci sotto la pioggia. La realtà è spesso più terra terra con appuntamenti negli unici posti decenti offerti dallo stradario locale, centoridici cocktail in corpo e le parolacce per asciugare i panni bagnati. Alla luce di ciò, pensi che la vita reale possa offrire un amore degno di un libro?

R: E come darti torto! Però vedi, qui emerge la differenza tra te e me, che sono un’autrice romance. Anche nella vita reale, se sei con la persona giusta, si può ridere dei vestiti inzaccherati di fango e pioggia, per quell’infame che è passato poco prima in auto e ha centrato apposta la pozzanghera stile piscina olimpionica per farvi il bagno (e parlo per esperienza). Oppure quando da ragazzino eri troppo povero per i primi Tom Tom, giravi col cinquantino sperando che i cinque euro di benza bastassero, perché il resto di quello che avevi serviva a comprarle il panino dallo “Zozzone”, ma Tuttocittà erano dieci volte che ti faceva fare il giro dello stesso palazzo e allora lo lanciavi in corsa. Così come, pure nel miglior ristorante del mondo, quello citato dalla guida Michelin, se sei con uno che non ti suscita manco un penoso solletico all’unghia del piede, le ostriche che stai mangiando sapranno sempre meno di un panino con la porchetta.

D: Concordo in pieno, ma d’altronde la Pratelli, è sempre colpa sua si sa, sostiene che sono un autore romance mancato. Dopo l’amore è d’obbligo parlare di sesso. L’incontro tra i due protagonisti è andato bene, sono sbronzi al punto giusto ed emanano feromoni come non mai. È il momento di sfidare le leggi della fisica e mettere in ombra i risultati sportivi dei migliori maratoneti. Secondo te come mai nei romanzi non capita mai che in quei momenti i personaggi non s’incastrino alla perfezione? Senza scendere in dettagli fisici, anche solo la pressione del momento potrebbe causare spiacevoli inconvenienti.

R: Tralasciamo un attimo il cliché di loro due ubriachi che finiscono a letto insieme. Succede, ma per fortuna non in tutti i romance.
Se serve alla trama, per come la vedo io, non è detto che debba filare tutto liscio, ma deve essere contestualizzato. Lui o lei potrebbe avere alle spalle un trauma che impedisce di lasciarsi andare. Oppure, nel caso di una commedia (io tendo a pensare sempre prima al dramma perché sono fan del “mai una gioia”) potrebbero solo aver davvero bevuto troppo.
In generale, però, è qualcosa che funzionerebbe solo se lui si stesse per portare a letto la stronza che vuole rubarlo alla protagonista, con sommo giubilo di noi lettrici. E non perché lui abbia problemi – ovvio – ma perché il suo amore per la protagonista gli impedisce di andare fino in fondo con l’altra, no? E sai perché, Viaroli? Perché nella vita ci siamo tutte imbattute nella serata poco o per nulla soddisfacente e, allora, almeno nei romanzi rosa, fateci sognare che non possa esserci alcuna spiacevole sorpresa quando saremo nude e avvinghiate al manzo dei nostri sogni!

D: Parliamo un po’ di alta letteratura. Fin dall’alba dei tempi i sentimenti romantici sono stati motori di alcuni dei più grandi capolavori della storia. Oggi invece vengono spesso snobbati. Esiste un romanzo che consiglieresti a chiunque volesse provare a cambiare idea e sia determinato a tornare a credere nel romanticismo?

R: Potrei citarti Jane Austen con “Orgoglio e Pregiudizio” e la stupenda dichiarazione di quel mezzo farabutto di Mr. Darcy, che ha schifato Elizabeth per tre quarti del romanzo e poi non l’ha capito manco lui quando ha cominciato ad amarla con tutto se stesso – e bene ha fatto Liz a fargliela sudare, a quel punto – oppure uno qualsiasi dei romanzi di Colleen Hoover, per me la regina del romance contemporaneo, capace di raccontare meravigliose storie d’amore incastrate alla perfezione col mondo malato in cui le ambienta; dove i drammi sono reali, prendono corpo pagina dopo pagina e mostrano non solo le imperfezioni dei loro protagonisti ma anche le atrocità che la vita spesso, purtroppo, gli riserva.
Però, ti faccio un altro meraviglioso titolo: Dillo alla Luna di Melissa Pratelli.
L’amore vero che non abbandona, non ferisce, ma lenisce le crepe del cuore e cura l’anima.

D: Che ne dici di parlarci un po’ di te? Cosa ti ha spinta a scrivere? Cosa diresti all’esercito di fan che non vedono l’ora di portarsi a casa un tuo autografo?

R: Cosa vuoi che ti dica? Dopo una serie pazzesca di due di picche fin dalla tenera età, casi patologici a cui mi sono aggrappata prima di capire che ero più malata io di loro, visto che ancora non gli avevo mollato un calcio nel sedere, e aver penato l’inferno con l’uomo che poi ho sposato (e vedi? Alla fine la realtà può somigliare molto alle storie che raccontiamo), un giorno ho sentito l’urgenza di mettermi davanti a un foglio bianco e fare quello che fino a quel momento mi era venuto meglio: innamorarmi dell’amore. Sempre. Nonostante le difficoltà, i pianti, il dolore che, a dodici come a trent’anni, sembrava insopportabile e che invece alla fine m’ha abbandonata, lasciandomi però in eredità, sempre, qualche insegnamento. Molto spesso su me stessa.
Alla mia schiera infinita di fan (pare vero) posso solo dire grazie, perché senza di loro non sarei dove sono adesso (e per quanto piccolo sia, questo mio mondo mi piace un casino) e che spero possano sempre essere sinceri con me: se mai un giorno dovessi farla fuori dal vasino, ripetermi solo per il gusto di pubblicare, o cambiare come persona, voi smettete di leggermi. Non comprate i miei romanzi, lasciatemi morire nel dimenticatoio.
Perché, se si ha qualcosa da dire e lo si sa fare, ben venga, altrimenti non è detto che si debba scrivere per forza.

D: Ultimissima domanda. Meglio una storia d’amore alla “Harry ti presento Sally” o alla “Notting Hill”?

R: Per quanto Notting Hill rappresenti la consacrazione di un sogno ricorrente – quello dell’amore che vince contro le differenze sociali – e che da ragazzina mi ha fatto credere che anche io avrei potuto incontrare per caso Leonardo DiCaprio e che lui si sarebbe follemente innamorato di me, mandando al diavolo tutto e tutti se necessario, ti rispondo con “Harry ti presento Sally”.
Perché l’amore non è quasi mai un colpo di fulmine. Perché spesso ci vuole tempo per capire che in un semplice gesto, in uno sguardo d’intesa, in un sorriso, si nasconde molto di più. Perché se è “vero amore” sarà capace di superare il tempo e trovarci ancora.
Perché: «Ci ho pensato tanto, e il risultato è che ti amo. […] Sono venuto stasera perché quando ti accorgi che vuoi passare il resto della vita con qualcuno, vuoi che il resto della vita cominci il più presto possibile.»

D: E con questa citazione finale di Marialuisa di uno dei miei film preferiti, vi ringraziamo e vi auguriamo una meravigliosa settimana. Nella speranza che la delicatezza dei pensieri della nostra ospite vi porti a vedere il mondo con un sorriso e una speranza in più.

Un abbraccio.

Daniele