Daniele Viaroli: Bentornati all’unica rubrica del Lunedì in cui nessuno, manco intervistatore e autore, hanno voglia di alzarsi dal letto. Come ve la passate? Noi alla grande, anche perché quest’oggi abbiamo un ospite che è una ventata di pura energia. Inesauribile. E pure un po’ nucleare. Nel senso che se lo guardate troppo a lungo vi accorgerete che brilla al buio. Detto questo, un abbraccio e un sincero applauso a un giovine che ho il piacere di chiamare amico. Ecco a voi Daniele Batella, autore di End of the Road Bar e artista d’indubbio talento.

 

DV: Benvenuto Daniele, permettimi di accoglierti nel ricco salotto della Dark Zone. Come prosegue la vita? Tutto in ordine? Pronto a sopravvivere a domande piene di cliché e falle logiche? Bene, si parte e cominciamo parlando del tuo primo romanzo, End of the Road Bar. Mi hai accennato in passato che la tua opera è un po’ una scatola narrativa con all’interno tanti racconti. Vuoi spiegarci da dove ti è venuta quest’idea?

DB: Ciao Daniele, è una gioia sedermi accanto a te in questo bel salotto virtuale! Tranquillo per le falle logiche, un saltimbanco dei paradossi come me non può chiedere di meglio! Sì, ho definito spesso End of the Road Bar come il mio indegno Decameron: in realtà si tratta del primo romanzo e già tempo prima di iniziare la stesura avevo immaginato questo luogo nascosto in un angolo della realtà, con un sottile strato di polvere del tempo depositata sopra in cui si ritrovassero per caso persone comuni dal passato straordinario. Volevo che le protagoniste assolute della narrazione fossero le storie di vita, i racconti di questi viaggi incredibili costellati di avversità, luoghi del mondo, profumi e sensazioni diverse ma che fossero in grado di parlare lo stesso linguaggio, quello dell’umanità. Per questa ragione il romanzo è costituito da sette storie differenti, quelle legate al passato di ognuno degli avventori, connesse però dal filo invisibile tenuto in mano da Penny, la misteriosa cameriera del bar che sembra conoscerli più di quanto possano immaginare…

DV: Il nome End of the Road Bar suggerisce un luogo che si trova a un passo dalla fine, sospeso in quell’istante appena prima di passare l’ultima soglia. Riflettendo su questo concetto mi viene da dire che ci sono molte persone che dopo aver vissuto per un po’ si siedono in un bar simile e attendono l’inevitabile. Credi che il dolore abbia un ruolo fondamentale in questo genere di scelte?

DB: Il dolore è un rituale che non possiamo evitare di celebrare, è una bestia antica (e se vogliamo anche sacra) che ci invita a banchettare con le nostre stesse carni. Non è cattivo di per sé, né buono. Fa semplicemente parte dell’equilibrio del cosmo e non possiamo sottrarci alla sua tagliola. Ciò che possiamo fare è corazzarci come meglio crediamo: farci trapassare il più in fretta possibile o indossare un’armatura spessa e impenetrabile, cercando di non cedere. Certamente l’averlo sperimentato in grande quantità può portare a sedere a uno dei tavoli dell’End of the Road: è proprio uno dei temi principali del romanzo, a dirla tutta.

DV: Parliamo un po’ di vita e morte. Leggendo i tuoi racconti, in particolare ne ricordo uno dedicato a Jack o’Lantern, ho notato una certa vena rock, ovvero una continua scelta di remare contro l’ordine costituito, di sfidare il potente. Pensi che quei momenti in cui si sceglie di affrontare una condanna certa siano un modo valido per oltrepassare i limiti imposti da morte e paura?

DB: Credo che i ribelli siano i nuovi dei. La lotta contro un destino dato per certo è ciò che rende speciale il genere umano, o almeno i pochi che si azzardano a sfoderare la spada contro qualcosa che nemmeno riescono a vedere. Perciò sì, credo che questo sia un modo per oltrepassare quei cancelli altissimi e invalicabili che sono la morte e la paura: l’incoscienza (o meglio il momento esatto in cui si accetta di non dover conoscere tutto, di non poter spiegare tutto) è un motore molto potente per i miei personaggi, è il giro di vite in cui si risolve il senso di una vita intera.

DV: Parliamo di aldilà. Credi esista una vita dopo la morte? Ti propongo un giochino doppio. Giunto il fatidico momento incontri Dante con tanto di Virgilio e Beatrice che ti fanno da guida nella struttura classica della Divina Commedia. Dove ti piazzeresti? E se invece incontrasti Buddha che ti dicesse che stai per reincarnarti in qualche altro essere. In cosa ti incarneresti?

DB: Ah però, questa è una domanda complicata! Sì, diciamo che tendo a credere in un disegno fatto di linee complesse che intersecano questa nostra vita mortale e che poi continuino in un ciclo eterno e inconoscibile anche dopo la fine di quest’ultima. Un po’ come i miei personaggi, però, mi sono arreso all’evidenza che se anche così fosse, la mia povera mente non potrebbe mai afferrare il senso di tutto, perciò lascio che le domande senza risposta si depositino, quiete, in fondo alla mente.
Per quanto riguarda Dante, probabilmente mi piazzerei a metà strada tra Inferno e Purgatorio: troppo peccaminoso per non essere punito ma non abbastanza da guadagnarmi il posto vicino a Giuda!
Su Buddha non avrei dubbi: chiederei di reincarnarmi in una creatura marina, l’acqua è la mia seconda casa. I polpi sono i miei animali preferiti: intelligenti, camaleontici, pieni di risorse.

DV: Domanda estemporanea, ma che mi è stata suggerita dai nostri vocali interminabili. Tu sei un gran fan di Final Fantasy. Quanto di questo videogioco ritrovi nei tuoi scritti? E no, non sto parlando di maggiorate con gli occhi rossi e cattivi dai capelli candidi, ma di un oggettivo valore nelle trame.

DB: Quanto mi piacerebbe poter rivendicare la paternità di suddette maggiorate e suddetti cattivi dai capelli candidi!
Scherzi a parte, io nutro un rispetto profondo e un’ammirazione spropositata per quell’immensa opera che è Final Fantasy. In trenta anni tra personaggi epocali, colonne sonore struggenti, trame e world building enciclopedici ha decisamente ridefinito il concetto di storie ben raccontate e soprattutto ispirate, mai legate alle loro incarnazioni precedenti e per questo sempre diverse.
Un po’ come te (ce lo siamo detti spessi nei nostri mega vocali) tendo a essere un fruitore di opere di intrattenimento molto esigente: fatico a stupirmi, detesto la prevedibilità. Final Fantasy è invece l’esempio perfetto del contrario, quando una trama è così ben scritta che alla fine sembra voler uscire dallo schermo a strapparti una lacrima direttamente dagli occhi.
L’idea di base, la storia di una qualunque opera per me è assolutamente fondamentale: indubbiamente il come la si racconta ha un valore elevatissimo ma il concetto deve essere sempre all’altezza di ciò che mi aspetto innanzitutto come fruitore.

DV: Passiamo all’attualità. La censura ormai domina la bocca di tutti, in particolare rispetto a una particolare legge osteggiata dalla destra. Credi che nella società moderna in cui persino zio Calogero può far arrivare la sua opinione complottista a Timbuctù sia davvero possibile zittire una protesta? A tal proposito, qual è la tua teoria complottista preferita ora che gli UFO sono stati sdoganati?

DB: Beh una delle migliori è quella legati ai vaccini che conterrebbero feti abortiti ottenuti strappandoli a madri inconsolabili con l’aiuto di… non lo so, Re Artù zombie?
Scherzi a parte (che poi magari tutti li ritenessero scherzi!) mi trovo nella fazione di quelli che attribuiscono almeno una certa percentuale della colpa ai social: c’è una forma di aggregazionismo molto positiva ed è quella legata alle opere di carità, alla divulgazione e condivisione di passioni comuni e poi c’è la riunione di condominio di quelli che, in un altro momento storico, sarebbero stati ascoltati solo da qualche solitario mezzo stordito dall’alcool in un bar di paese.
Ecco, sfortunatamente certi individui nei social hanno trovato una platea. E questa platea, a mio modesto parere, è estremamente pericolosa.

DV: Siamo persona romantiche, quindi parliamo un po’ d’amore. Oh Daniele, Daniele, perché sei tu Daniele? Beh, tanto per cominciare se tu fossi stato Luigi e io ti chiamavo Daniele non ti saresti girato, quindi altro che serenata dal balcone. Spesso si dice che tutto ciò che si poteva dire sull’amore è stato già detto. Cosa ne pensi?

DB: Non scherziamo, senza dare adito a tutte le immagini poetiche che ho nel mio hard disk mentale, si potrebbe fare sull’amore un discorso analogo a quello fatto in precedenza sul dolore: fa parte dell’universo, è un motore invisibile, perlopiù ignoto, una forza centripeta e centrifuga insieme, qualcosa che sfugge alle redini della nostra concezione. Come si potrebbe aver detto tutto ciò che c’era da dire? Sono un fermo sostenitore dell’importanza dell’individualità, quando si tratta di sentimenti: nessuna storia sarà uguale all’altra finché a viverla saranno persone differenti. Non si sarà mai parlato abbastanza, dell’amore.

DV: Legata a questa domanda, di rito, c’è quella dedicata alle sfumature di luci rosse e so per certo che nel tuo lavoro ci sono scene quantomeno conturbanti. Ti andrebbe di spiegarci come si scrive un passaggio erotico? Ma soprattutto lo immagini o lo provi anche? No, perché in caso vogliamo i video.

DB: Beh, per i video ci vuole una certa confidenza, nel tuo caso diciamo solamente che ricambio!
Al di là di questi simpatici scambi di materiali vietati ai minori, posso dirti che l’ambito erotico è indubbiamente una parte fondamentale dello sviluppo delle mie storie e dei miei personaggi, proprio perché è uno degli ultimi tratti ferini della nostra specie e un propulsore capace di destabilizzare intere esistenze.
Da fan di Madonna sono fermamente convinto dell’artisticità intrinseca nel sesso e nelle sue incarnazioni, sono profondamente interessato al rapporto tra religione e sesso e alle contraddizioni che nascono da questo incontro profano. Per questa ragione lo includo sempre in ciò che scrivo. Come si fa? Sebbene la scena sia molto ben esplicita in testa, cerco di riversarla sul foglio con un filtro nebbioso, affinché ci guadagni in magia: molta dell’eccitazione sta nell’immaginare, più che nel vedere.

DV: Sono molto d’accordo. Dopo questo breve assaggio di Kamasutra, passiamo a qualcosa di nobile ed estremamente elevato. No, non sto parlando più di specifiche parti del corpo, ma proprio di letteratura. Qual è quell’elemento senza il quale per te non può esistere un buon romanzo?

DB: La trama. Prima di tutto, di ogni altra cosa. Puoi essere uno scrittore eccezionale, scrivere aforismi in grado di tagliare in due il cielo, descrivere un paesaggio a pennellate migliori di quelle di un impressionista… Ma io ho bisogno di una storia. Voglio viverla, ridere, piangere, baciare, uccidere i personaggi come fanno loro nella narrazione, soffrire con loro, gioire con loro. La trama, per me, è tutto.

DV: Ci avviamo alla conclusione e mi piacerebbe sentirti parlare un po’ di te. Non potendoti ascoltare cantare (ahimè non siamo in diretta video), mi piacerebbe sapere di più su di te e un certo gruppo di ciliegie sataniche. E anche qualcosina sulla tua professione come truccatore. Ma soprattutto, riusciresti a rendere presentabile anche me?

DB: Tu fai parte di quella categoria di buontemponi che richiedono di essere abbelliti quando non hanno evidentemente bisogno di nulla! Ok, non vorrei mai che qualcuno pensasse che ti sto allisciando: non gli devo dei soldi, tranquilli, condividiamo nome, passioni e diversi ideali, tutto qui!
Eh sì, siamo proprio un gruppo di ciliegine sataniche: faccio parte dei Cherries on a Swing Set, un gruppo di cinque ragazzi che ama la musica a tal punto da averne fatto una ragione di vita. Da più di dieci anni ci esibiamo in Italia e nel mondo con il nostro repertorio di cover e canzoni originali cantate completamente a cappella, ovvero senza l’ausilio di strumenti. Siamo praticamente una famiglia e non potrei essere più orgoglioso di ciò che siamo oggi! Abbiamo addirittura composto ed eseguito un brano per End of the Road Bar (Penny’s Suite, che trovate su Youtube) e girare il video dedicato, con tanto di attori che interpretavano i miei personaggi è stata un’emozione indescrivibile, grandissima.
L’altra parte del mio cuore è immersa in rossetti e ombretti: sono il global make-up artist di Astra Make-Up, un brand per il quale progetto anche i cosmetici insieme a un gruppo di lavoro affiatato e appassionato: grazie ad Astra ho viaggiato, ho conosciuto persone e realtà differenti e ho avuto modo di esprimermi attraverso video e foto delle mie creazioni. Anche lì ho una famiglia a cui sono molto grato.

DV: Ultimissima domanda. Meglio conoscere il vero amore senza vederlo mai realizzarsi oppure non incontrarlo mai e avere una vita costellata di altri successi sentimentali?

DB: Da romantico mentirei se non ti dicessi che credo più nella prima opzione che nella seconda: sfiorarsi senza mai stringersi davvero è un destino che credo accomuni molte più persone di quanto loro stesse possano immaginare. Non so cosa sia meglio: la bilancia del bene e del male, quando c’è di mezzo l’amore, è sempre in perpetuo, inesorabile bilico.

DV: E con questa risposta in bilico tra bene e male con l’amore pronto a scardinare tutto si conclude la nostra intervista. E’ stato come sempre un piacere avere a che fare con te e le tue mille caleidoscopiche passioni. Spero di avere presto la possibilità di intervistarti dal vivo. Nel frattempo colgo l’occasione per augurare a Daniele e a tutti voi una meravigliosa giornata.
Intanto vado a recuperare i cento euro che gli ho dato per fargli dire cose carine su di me.

Un abbraccio

Daniele Viaroli