Buon mercoledì, oscuri!

Ho una bella intervista da condividere con voi oggi.

Mi piace incontrare i miei ospiti su terreni onirici, trovo che ci lasci la possibilità di condividere sfumature interessanti.

Con l’ospite di oggi ho parlato di mongolfiere, di solitudine, di paura delle altezze e di volo, di direzione e di finali felici.

Signore e signori, Davide Ceraso!

Davide, raccontaci un po’ dei tuoi sogni.

Io sogno tantissimo – a volte anche a occhi aperti… – e quando mi sveglio la mattina, di solito, ho ancora abbastanza vivo il ricordo di cosa ho sognato. Mi è capitato anche che qualche sogno, o qualche frammento di sogno, diventasse poi lo spunto per un mio racconto. Ho un po’ la paura del vuoto, delle grandi altezze, e credo quindi che inconsciamente alcuni sogni siano condizionati da questo mio timore. L’altro giorno, infatti, ho sognato di trovarmi all’interno della cesta di una mongolfiera, da solo, in alto sopra un mare che pareva sconfinato e con una fine nebbiolina tutt’intorno. La sensazione era piacevole, di pace, ma contemporaneamente non mi sentivo tranquillo, un’inquietudine che poco a poco ha preso il sopravvento. Poi d’improvviso sono comparse le mie figlie a farmi compagnia sulla mongolfiera e allora mi sono tranquillizzato.

Cos’è la solitudine?

In questo nostro tempo dominato dai social e dall’essere “sempre connesso”, la solitudine è diventata quasi una sorta di dimensione estranea alla nostra vita, al nostro quotidiano, alcune volte vista anche con una sorta di accezione negativa. Io però, in certi momenti, sento la necessità di essere in qualche modo isolato, solo con me stesso, forse per ritrovare un equilibrio interiore che ogni giorno viene alterato da impegni e pensieri. Altro discorso, invece certamente più triste e serio, riguarda quelle persone che soffrono di solitudine in modo patologico, che si isolano per la paura di essere giudicati e rifiutati, oppure quelle che hanno perso tutti i famigliari e non sono più in grado di avere una vita sociale. La solitudine è una tematica che la letteratura e le arti in genere hanno sempre affrontato. Anche a me piace trattare la solitudine nei miei racconti, perché è ricca di spunti e ti concede il privilegio di indagare su personaggi dalle molte sfaccettature, profondi e mai banali. Alla fine, per me, la solitudine è una figura in controluce alla finestra che aspetta qualcuno che non arriverà mai…

Nel sogno abbiamo una apparente contrapposizione tra paura del vuoto e grandi altezze e volo. Le cose che ti spaventano esercitano anche una certa attrazione?

Voglio partire dal presupposto che il cervello umano è una macchina complessa e meravigliosa, per certi versi ancora sconosciuta. Non è ovviamente il mio campo, ma ho letto studi scientifici che sostengono come la paura, e di conseguenza la ricerca di esperienze anche estreme, sia in realtà in grado di “rilassare”, al pari delle meditazione, parti del cervello e forse, in determinati contesti e comunque in ambienti protetti – per esempio guardando un film thriller o seduti su di un ottovolante –, far dimenticare momentaneamente le preoccupazioni di tutti i giorni. In alcuni casi e per certe persone, poi, questa attrazione per la paura ha in sé un senso di autoefficacia, un convincimento di saper gestire, controllare circostanze rischiose. Ecco Daisy, fatta questa premessa, però, ti dico che per me non funziona proprio così o, meglio, non sempre così. Effettivamente il sogno ha fatto emergere una mia grande paura, il senso del vuoto, che si è acuita, a onor del vero, negli ultimi anni e di sicuro quando mi trovo in una situazione simile, non sono molto rilassato. E anche altre tipologie di paure, magari legate all’esser padre, non riesco a viverle sempre in modo sereno. È pur vero tuttavia che a volte anche io cerco un po’ il brivido, magari leggendo un bel libro horror della DZ edizioni…

La mongolfiera, tra i mezzi usati per volare, nonostante la presenza di comandi, dà l’idea di lasciarsi anche un po’ trasportare. A te cosa succede? Tenti di dirigere o lasci anche un po’ la presa ogni tanto?

La mia indole, sostenuta in parte anche dalla predilezione per le materie scientifiche, tende a voler dirigere in ogni occasione e in tutte le circostanze. Per fare un paragone sempre trasportistico, direi che invece di citare la mongolfiera sarebbe più giusto prendere in considerazione un treno. Binari paralleli che tendono all’infinito. Niente scambi. Nessuna deviazione. In alcuni momenti della mia vita ho provato a lasciarmi un po’ andare, navigare su di una mongolfiera nel mezzo di un cielo deserto, ma non sapendo dove mi avrebbe condotto “la corrente”, dopo aver provato a resistere, ho quasi sempre rinunciato. Forse, il solo luogo dove mi lascio veramente trasportare è nel mondo onirico dei sogni. Oltre, come non citarli, nei momenti in cui scrivo, quando riesco a mollare la presa e immergermi nei luoghi, nei personaggi e nelle situazioni che sto raccontando.

Il sogno ha, per così dire, un epilogo felice. Con le tue figlie che arrivano e ti farti compagnia. Ti piacciono i finali felici? Come autore e come lettore.

Come lettore prediligo i libri che abbiano un finale felice, quelli in cui i personaggi che impari poco a poco a conoscere possano vivare sereni senza che gli accada mai nulla di male, in modo da poter sognare un po’ insieme a loro. Questo tipo di finale credo sia perfetto per i romanzi che vogliono trasmettere valori come l’amore, la pace o la speranza. A mio modo di vedere, però, una storia di questo tipo non deve essere scontata, non deve farti comprendere subito come andrà a finire, essere troppo “fiabesca”. Se è così, preferisco di gran lunga un finale triste, uno di quelli che ti lasciano l’amaro in bocca. Da scrittore, invece, soprattutto quando voglio descrivere situazioni più reali, vite al limite, preferisco concludere i miei racconti senza il consueto “lieto fine”, non necessariamente un finale tragico, magari lasciandolo in sospeso. Ho come l’impressione che sia più adatto e credo che rimanga più impresso nella mente dei lettori.
Nel sogno vieni raggiunto dalle tue figlie su una mongolfiera e questo ti è di”aiuto. Nella vita succede che un aiuto arrivi in momenti e in condizioni inaspettate?
Mi piacerebbe rispondere affermativamente a questa domanda, ma in realtà non è possibile. La vita è come un libro pieno di sorprese o di svolte inaspettate – un film famoso diceva che “è uguale a una scatola di cioccolatini e non sai mai quello che ti capita!” – e non sempre arriva un aiuto quando ti serve. Nel mio romanzo – La direzione della coccinella – questo aiuto ho voluto identificarlo appunto con una coccinella, che poi non è nient’altro che il cuore. Ecco, forse, un aiuto nei momenti più difficili può proprio arrivare dal tuo cuore che sa indicare la strada giusta anche nelle situazione impreviste.
Qual è la tua direzione in questo momento?
Questa è una domanda difficile, Daisy! A volte penso di saperlo, altre no. Sono arrivato a una età in cui la parola “sogni” contrasta il più delle volte con la parola “realtà”. Io però non demordo, qualche desiderio l’ho nascosto ben bene in un cassetto con la speranza, un giorno, di tirarlo fuori dalla polvere. Nel frattempo cerco di essere il miglior padre e marito possibile, continuo a scrivere, leggere e ancora scrivere. E vediamo la vita che direzione prenderà…
Grazie Davide!
Noi ci vediamo il prossimo primo mercoledì di giugno con una nuova intervista onirica!
Vi lascio con il romanzo di Davide, La direzione della coccinella, cover di Livia De Simone.
Daisy Franchetto