Daniel Di Benedetto

Ok, stiamo calmi.

E’ iniziato un nuovo anno, ma non c’è motivo di andare nel panico e noi stamattina abbiamo un editoriale da mandare in onda, un editoriale dedicato a un autore storico della DZ Edizioni.

Con lui abbiamo parlato di tanto, ma soprattutto siamo andati in profondità, perché questo uomo maneggia sentimenti e sconquassamenti emotivi senza timore.

Non manca molto all’uscita del suo nuovo progetto editoriale e siamo davvero curiosi di sapere cosa avrà tirato fuori dalla sacca questa volta.

E’ una gioia per me condividere questa chiacchierata.

Signore e Signori, Daniel Di Benedetto…

Raccontaci il tuo sogno.

Ho un sogno ricorrente. Nel sonno mi ritrovo sui banchi di scuola, spaesato, perché manca sempre poco tempo all’esame di maturità e mi rendo conto di non essere pronto. Di aver fatto troppe assenze e di avere lacune gigantesche. Così mi sale l’ansia e la paura di non farcela, anzi direi una consapevolezza bella e buona… Ecco. Nei periodi di stress riesco a fare questo sogno più o meno sempre uguale anche più volte in un mese…

Come vivi la performance nella vita di tutti i giorni?

Spesso la sensazione di “ansia da prestazione” c’è. Dettata probabilmente da una mancanza atavica di autostima (sono fermamente convinto che chiunque sappia o possa fare quello che faccio io meglio di me). Devo allora impegnarmi per liberare la mente e svuotarla di tutti i pensieri, concentrandomi solo in quello che sto facendo, sull’istante… Il tutto, condito da un insano e diffuso senso di colpa latente per tutto quanto. Tradotto, io DEVO fare questo PERCHÉ È QUELLO CHE VA FATTO… Aggiungo che molto raramente sono soddisfatto al 100% di quello che faccio. Oppure la reputo una cosa “normale”…mai una sorta di eccezionalità (per questo quando qualcuno mi fa i complimenti per qualcosa che ho fatto o magari scritto, tendo a minimizzare dicendo “guarda che non ho fatto nulla di che”).

Quindi lotti contro un mix micidiale di: poca autostima, senso di colpa e senso del dovere sabaudo. E quando scrivi, cosa accade a questo miscuglio accattivante?

Quando scrivo, questo mix tristanzuolo spesso si ripercuote nelle mie parole, andando a ricercare le sfumature del carattere di ciascun personaggio delle mie storie. Spesso hanno qualcosa che preferiscono tenere chiuso da qualche parte, uno scheletro nell’armadio, un sogno nel cassetto, qualcosa da farsi perdonare o da nascondere. Sono personaggi “grigi”, un buono non è mai totalmente buono, così come ogni cattivo che si rispetti ha un punto debole, dentro. Le storie, di rimbalzo, prendono la piega della malinconica visione d’insieme, come tessere di puzzle che funzionano soltanto se combacianti l’una con l’altra.

Hai trovato quindi il modo di convogliare ciò che vivi nella scrittura. Anche il mondo onirico vi trova spazio?

Purtroppo tendo a essere molto realistico e verosimile in quello che scrivo. Spazio per il mondo dei sogni, inteso come fantasia e immaginazione anche a scapito della possibile realtà dei fatti, non ne ho molto. Quindi le mie storie, pertanto partendo sempre da una base di “follia fantastica” in cui si disegnano nella mente intrecci e personaggi, sono sempre ben ancorate alla realtà o perlomeno al verosimile. Mi è successo di sognare quella che ritenevo essere “la storia perfetta”, con tutti i dialoghi al posto giusto e gli avvenimenti che si susseguivano come un film…ma appena aperti gli occhi, puffffff…tutto sparito, non ricordavo una virgola! È curioso come mi ritrovi in un gruppo come la Dark Zone dove lo zoccolo duro è composto da autori che fanno del fantasy quasi una scelta di vita…ma per me, la “zona oscura” può significare anche quel lato psicologico delle persone comuni, che tende a rimanere nascosto, da non mostrare… Ecco, a me piace scovare quel lato oscuro e portarlo alla luce con tutti i rischi del caso.

Qual è la tua dark zone?

La mia dark zone è fatta di argomenti che non riesco a trattare, di cui faccio anche fatica a scrivere senza lasciarmi dentro un senso di ansia e rancore repressi. Diciamo che la paura di non avere abbastanza tempo è quella che mi accompagna con maggior frequenza. Ansia, crisi di panico improvvise, tachicardie…provato tutto. Anche col rapporto genitori – figli ho qualche difficoltà, dovuto a un vissuto non proprio felice…

Quel che ci stai raccontando apre una porta, scusami se sto sempre con queste porte, su uno scenario interiore ricco. È possibile scrivere senza vivere un qualche tormento interiore? E capovolgendo la domanda, ci si avvicina alla scrittura quando si è semplicemente sereni?

Ahahah, tu stai sempre con le porte come io sto sempre con le tessere del puzzle.
Non è che sappia scrivere soltanto cose tristi o che io sia una persona che non sappia ridere. Per fortuna, altrimenti sarei un depresso cronico, sono un “cazzaro” professionista (e allo stand Dark al Salone ne hai avuto un assaggio). Tenco diceva: ” quando sono felice, esco”.
Giocando a pallone con una squadra di calcio a 7 chiamata Atletico Sarai Tu, quando finiscono le partite i miei compagni pretendono le pagelle ironiche…e devo dire mi riescono anche piuttosto bene!
Però, se devo scrivere “seriamente” e non per puro divertissement, allora avere un groppo che non va né su né giù un po’ aiuta.

Un po’ lo stai svelando, ma qual è il tuo antro di follia quotidiana?

Intendi dire il momento in cui divento me stesso al 100% lasciandomi andare totalmente? Sicuro quando parlo con i ragazzi della “family” Dark…rido e scherzo di continuo perché con loro mi sento davvero a casa, perciò non ho paura di essere giudicato in alcun modo.
In genere, se qualcuno riesce ad andare oltre la corazza di diffidenza e la faccia da perenne “…zzato” che mi ritrovo, si accorge di quanto io sia fondamentalmente un folle bonario che non si imbarazza di niente e con cui si può parlare di tutto in maniera libera e vera

Ovviamente, anche quando gioco o mi perdo nello sguardo e nel sorriso della mia piccola Principessa, mia figlia Beatrice, sono un folle…nel senso che sono totalmente pazzo di lei.

Che rapporto c’è tra la tua piccola Principessa e la scrittura?

Diventare genitore è un’esperienza che ti regala e ti toglie tanto, ma quello che ti toglie è infinitamente ripagato dalle emozioni che anche un solo sorriso può suscitare. Inconsapevolmente, mi sono ritrovato a scrivere nei ritagli di tempo, del resto la mia pigrizia ci va a nozze con questa cosa del “non avere abbastanza tempo”. Ecco in parte spiegato anche il mio essere sempre breve e conciso. Non mi perdo in descrizioni esagerate, regalo un ritmo preciso alla narrativa…

Scrivo sperando che un giorno Bea possa leggere e essere orgogliosa di quello che suo papà ha scritto…

Grazie Daniel.

Daisy Franchetto